"La verità s'insinua più facilmente quando lo scrittore postosi del pari col suo lettore parte dalle idee comuni e gradatamente e senza scossa lo fa camminare e innalzarsi a lei anzi che annunziandola con tuoni e lampi i quali sbigottiscono per un momento, indi lasciano gli uomini perfettamente nello stato di prima."

Pietro Verri
"Osservazioni sulla tortura"

Presentazione di Antonio Ghirelli.

Sono felice di aver contribuito anche se in misura assai modesta al concepimento di questo splendido libro di Fabio Romano e lo presento con l'orgoglio, forse un pò puerile, con cui un padre può vantarsi dei successi del figlio quando pure non vi abbia merito alcuno. Fu in effetti la lettura di una mezza pagina della mia "Storia di Napoli", stampata per la prima volta una ventina di anni or sono nelle edizioni di Einaudi, ad ispirare prima la curiosità, poi l'impegno di Romano nelle ricerche sulla figura, sulle disavventure e sull'epoca in cui si iscrive la vicenda di una suora napoletana, Giulia de Marco, consumata nei primi anni del secolo XVII. "Nel clima pettegolo e bigotto che domina la città", scrivevo a proposito di quell'epoca, "scoppia intorno al 1611 lo scandalo di suor Giulia de Marco, una ex-francescana di umili origini che é in odore di santità presso il popolino e fonda con padre Aciero ed un avvocato De Vicariis una congregazione piuttosto equivoca. Insospettita dalle pratiche misteriose a cui si abbandonerebbe la congregazione e soprattutto dalla superstiziosa devozione che circonda la monaca, l'Inquisizione piomba sulla setta ed apre un lungo, tortuoso e durissimo processo". E continuavo accennando alle accuse mosse a suor Giulia e ai suoi fedeli, alla confessione estorta con l'abituale pratica della tortura al povero De Vicariis e alla rovina finale cui sono condotti la giovane religiosa e i suoi "figli spirituali".

In tutto non più di venti righe che, nondimeno, colpirono la fantasia e la sensibilità storica del nostro amico fino al punto di indurlo ad approfondire il senso e i protagonisti di quello "scandalo" e, come spesso accade a chi si fa biografo di un personaggio affascinante, lo fecero innamorare di Giulia de Marco. Suppongo che, nella scelta della severa fatica di ricostruire la tragedia della monaca napoletana, abbiano concorso suggestioni complesse, tipiche del resto di un intellettuale colto e poco accademico come Fabio Romano: per cominciare, il suo, direi il nostro comune amore per Napoli e per la sua storia, che nasce poi dalla convinzione del nesso indissolubile tra la conoscenza del passato e l'ansia di un futuro migliore. E ancora, ritengo, la fedeltà di Fabio, la nostra comune fedeltà ad una visione laica del mondo nella quale non v'é posto per l'intolleranza, per la persecuzione, per il fanatismo di ogni tipo e tanto meno per l'impietosa condanna del peccatore o, come disse una volta superbamente papa Roncalli, "dell'errante". Ma se questi due impulsi sono stati, verosimilmente, all'origine della decisione di rievocare una delle trame più caratteristiche della Napoli vicereale e del secolo di Gianbattista della Porta e di Galileo Galilei, non dubito ceh l'autore si sia lasciato sedurre, al di fuori del contesto storico e ideologico, anche dal sapore fortemente e schiettamente romanzesco del caso, che vide una donna giovane e bella, ricca di un carisma assolutamente insospettabile in una contadina ignorante, tenere a lungo il centro della scena di un "teatro" popolato di potenti notabili, di autorevoli prelati, di grandi signori e di eruditi borghesi, coinvolgendoli in un'arditissima scommessa teologica, una paradossale contaminazione tra sesso e fede in cui Giulia parve anticipare, sia pure inconsapevolmente, le maliziose provocazioni dei più spregiudicati libertini del secolo successivo. Né é revobabile in dubbio l'attrazione che può esercitare su ciascuno scrittore italiano di questo "genere" (che Benedetto Croce mi perdoni!) il modello insuperabile del romanzo di Manzoni, l'arte senza pari del Grande Lombardo di rileggere i vecchi documenti d'archivio come testimonianze palpitanti di vita.

Fabio Romano ha seguito ciascuna di queste ispirazioni, sprofondando per anni, leopardianamente, in uno studio "matto e disperatissimo", per riemergere con questo libro straordinario in cui ritroviamo ad un tempo la città del secondo conte di Lemos, di Gianbattista Basile, di Salvator Rosa, e la mortale avventura di Giulia de Marco, come in un "kolossal" della passione carnale e del misticismo, un affresco magistrale della società cittadina alla vigilia dei due drammatici avvenimenti che l'avrebbero sconvolta: la rivolta di Masaniello e la grande peste del 1656. Per l'altezza dell'ambizione, per l'eccellenza del risultato, per le dimensioni dell'opera, questo volume onora non soltanto l'autore, ma anche il coraggioso e lungimirante editore, quell'Attilio Wanderlingh che reca anche nel nome fiammingo la memoria di uno di quegli incontri fra Napoli e i visitatori stranieri, tanto spesso conclusi con un trasferimento definitivo sulle rive del Golfo come conseguenza di un "colpo di fulmine", dell'esplosione di un amore a prima vista.




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